Per me è un viaggio nel ricordo di una persona e del mio rapporto con lei, iniziato tanti anni fa e interrotto dalle leggi della Natura. Si chiamava Anita, era nata a Milano nel 1913 da papà emiliano e mamma veneta ma aveva Milano nel sangue: amava questa città e per nulla al mondo l’avrebbe lasciata. Anita era mia nonna. Lei si è occupata di me fin da quando ero piccolissima e abbiamo vissuto insieme a lungo.
E ricordo come se fosse ieri, le nostre passeggiate fra le vie della città. Abitavamo in Bovisa, un quartiere grigio, senza alberi ma con i necessari negozi, adornata solo dalla nota Fontana di Piazza Bausan, che vedevo dal balcone al terzo piano di via Mercantini.
Così mia nonna nei pomeriggi infiniti, mi portava in centro. Salivamo al capolinea della linea 8 e via, sferragliando verso la “zona bella”. Adorabili quei tram: rumorosi, scomodi… Mi divertivo a cantare e scoprire che la mia voce era completamente coperta dal frastuono delle rotaie (ok, non avevo la potenza di Pavarotti ma quella di un uccellino però… mi divertivo così). Le facce della gente erano facce tristi. Non so perché, ma me le ricordo così. Forse perché erano gli Anni di piombo: da lì a poco avremmo infatti smesso di allontanarci da casa. Spesso scendevamo in via Broletto e da lì mia nonna, sempre mano nella manina, mi portava alla scoperta delle vie più nascoste della città.
Ho imparato, grazie a lei, ad amare anche il grigio e quella strana puzza che ricordo molto bene, soprattutto in via Torino. Era un odore dolciastro, intenso, soffocante, che attanagliava la gola: mi sono sempre chiesta cosa fosse perché poi è sparito. Raramente facevamo le vie più famose e battute ma quasi sempre passavamo dalla piazza Duomo prima di rincasare. Amavo i piccioni, mi divertivo a farli scappare ed ero convinta che fossero grigi perché la città era dello stesso colore. Cosa c’è di più deprimente del grigio? Non ha la potenza arcana del nero, non ha la speranza infinita del bianco. non è nulla, il grigio.
Eppure, le foto di Giuseppe….Lo accuso di spacciare un’avvenenza inesistente: Milano non è così, non è come nelle foto ma allo stesso tempo è come nelle foto. Una specie di paradosso quantistico della bellezza: è e non è. Non ho ancora capito quale sia il super potere di Giuseppe ma quando mi ha chiesto di scrivere le dita poetiche e mi sono trovata davanti quei frammenti d’anima di cemento, mi sono emozionata. Ho pianto, tanto. Immaginavo Anita e me sedute ai tavolini della Rotonda della Besana, ricordavo le passeggiate all’interno del Cimitero Monumentale, le rotaie di Porta Genova e tanti altri luoghi della memoria.
Oggi Anita non c’è più e non c’è più quella bambina che guardava case troppo alte circondate da un cielo troppo piccolo. Ma sono sicura che se sbirciate bene, nelle foto di Giuseppe troverete delle tracce di noi. Siamo ancora lì, che passeggiamo sospese in questa bellezza anomala. Che illuminiamo il grigio con la luce del nostro amore.
Ecco, Fotopoetica è questo per me.
Monica Marelli